Didone abbandonata, libretto, Stoccarda, Cotta, 1763

 ORFEO ED EURIDICE
 ballo eroico
 
 
 PERSONAGGI
 
 ORFEO
 (il signor Lépy)
 EURIDICE
 (la signora Toscany)
 
 PRIMA ENTRATA
 
 Ombre felici: la signora Nency, il signor Picq, la signora Salomoni, il signor Léger; le signore Ricci, Malter, Blondeval, Durand, Toscani minore, Adelaide, Boudet, Massu, Cronier, Rosalie, Riccieri, Artus, Aletta, Delaître, Dorfeuille, Marcadet; i signori Dauvigny, Simonet, du Poncel, Pietro, Félix, Gregorio, Le Fèvre, Rousseau.
 
 SECONDA ENTRATA
 
 PLUTONE
 (il signor Vestris minore)
 PROSERPINA
 (la signora Durand)
 
 Divinità infernali: i signori Dauvigny, Picq, Léger, Simonet, du Poncel, Pietro. Spettri: i signori Trancart, Favier, Clemente, Valentino, Regina minore, Gasparo.
 
 TERZA ENTRATA
 
 Contadini: il signor Delaître, la signora Guidi, il signor Regina maggiore, la signora Radicati; i signori Félix, Le Fèvre, Annello, Durand, Drouville, Casselli; le signore Évrard, Riccieri, Artus, Delaître, Dorfeuille, Arménie.
 
 QUARTA ENTRATA
 
 BACCO
 (il signor Vestris minore)
 AMORE
 (il signor Noverre figlio)
 
 Driadi, amadriadi, baccanti e menadi: le signore Nency e Salomoni; le signore Ricci, Toscani minore, Adelaide, Blondeval, Durand, Malter, Cronier, Boudet, Massu, Rosalie, Aletta, Marcadet. Fauni, silvani, satiri: i signori Léger e Picq; i signori Dauvigni, Clemente, Favier, Simonet, Valentino, Trancart, Pietro, Gregorio, Rousseau, Duponcet, Gasparo, Regina minore ed i sedici contadini della terza entrata.
 
 SCENA PRIMA
 
 Rappresenta la scena il fiume Acheronte. Veggonsi da una parte le porte dell’inferno, dall’altra aridi dirupi.
 
    Comparisce Orfeo esprimendo il vivo dolore che gli rode l’anima per la perdita di Euridice ed i sospiri ch’egli confonde col mesto suono della sua lira, manifestano l’estrema sua disperazione. Succede al mortale suo affanno l’orrore, ond’è sorpreso alla vista dei tristi luoghi dove l’amor suo l’ha condotto. Non vede, per quanto un palido lume gli permette, che orridi dirupi e freme all’aspetto delle porte infernali. Non ascolta che lamenti, che strida di rabbia e di disperazione, che profondi gemiti ed urli orribili gettati tutti in una volta dall’ombre ree. Questo terrore, dal quale rassembra che sia stato instupidito, vien dissipato dalla speranza di rivedere l’amato oggetto. Tocca le corde della sua lira e il di lei potere incantatore penetra l’inflessibil cor di Caronte a cui svaniscono le rughe dalla fronte e si rianima il palido e livido volto. Monta su la poppa della sua barca ed appoggiandosi a un remo presta attentivo orecchio alla dolce armonia del tracio cantore. Orfeo, guidato dalla violenza dell’amor suo a tentare ogni impresa, s’avvicina al fiume, Caronte il riceve nella sua navicella e lo traggitta alle nere sponde del regno di Plutone. Raddoppia quivi il suono della sua lira, gemono sovra i ruginosi lor gangheri le porte infernali, si scuotono, si aprono e Cerbero cessa da’suoi latrati per ascoltare il melodioso canto che gli ferisce l’orecchio. Orfeo trionfante penetra alfine nel soggiorno infernale.
 
 SCENA II
 
 Rappresenta la scena i Campi Elisi.
 
    La vista di un mortale colma di maraviglia l’ombre felici. Una schiera di giovani amanti morti per amore lasciano le odorose lor pergole di mirti e d’amaranti per venire a far corona intorno ad Orfeo. Gli eroi che hanno versato per la patria il sangue loro, lasciano l’ombroso lor soggiorno per accorrere a lui e tutti d’un così nuovo spettacolo rimangono maravigliati. Gli accenti d’Orfeo fanno agli uni rimembrare le dolcezze dell’amore, agli altri i vantaggi della gloria e sembra, per così dire, che ogni ombra sia richiamata alla sua pristina inclinazione dalla forza della vera espressione della soavissima armonia che la caratterizza. Cerca frattanto Orfeo con il cupido sguardo la sua cara Euridice. Cento volte la chiama per nome e ne domanda premurosamente novella. In mezzo della maggiore inquietudine sua scorge alfine sotto un pergoleto di rose e di gelsomini un’ombra che, innalzando al cielo le braccia, sembra che implorar voglia il suo soccorso e poi, lasciandole cadere, rimarsene immersa nel duolo e nelle lagrime. A questi contrasegni di sensibilità Orfeo crede di riconoscere la sua Euridice. Vola verso di lei, s’arresta e mischia il suono della sua voce a quello della sua lira; chiama sospirando Euridice e questa sposa fedele a così cari accenti alza la testa, rivolge lo sguardo e riconosce Orfeo. S’alza precipitosamente, sen corre a lui, gli stende le braccia, poi vacilla e si ritira e la maraviglia e la gioia le si veggono in volto. Sente il fortunato Orfeo gli effetti delle medesime passioni; il turbamento, il diletto e la dolce sorpresa. Trovansi alfine ambidue in quella specie d’estasi che accompagna e sempre fa distinguere l’eccesso del piacere, allorché il sentimento n’è così vero come n’è pura l’origine. Fra questo deliziosissimo istante le ombre felici tolgono insensibilmente il velo che impedisce ad Orfeo di ravvisare Euridice. Questo tenero sposo, convinto della realità della sua fortuna vola alla consorte e si getta a’di lei piedi; e questa fra le sue braccia amorosamente lo stringe. Le ombre felici, che presenti si trovano ad una così tenera ricognizione, corrono intorno ad essi e sembra che prendano veramente parte alla loro felicità; quindi si sollecitano a celebrarla con dilettevoli danze, nelle quali Orfeo ed Euridice esprimono tutto l’ardore onde sono infiammati. Orfeo, impaziente di trarre Euridice dal soggiorno dell’ombre, la lascia colla speranza di poter muovere a di lei favore Proserpina e Plutone.
 
 SCENA III
 
 Rappresenta la scena la reggia di Plutone. Questo nume vedesi accanto a Proserpina assiso sul trono e a’piedi loro stansi aggruppati i giudici infernali. Dietro le colonne della reggia si scorge uno dei fiumi infernali e veggonsi i tormenti dell’anime ree crucciate nel Tartaro.
 
    Si presenta Orfeo ed alla temerità di questo mortale ne freme l’inferno. Orfeo s’avanza tremando, si getta a’piedi del trono di Plutone, move gli accenti e la soavità e tenerezza loro commovono gli abitatori di così orrido regno. Le sventurate figlie di Danao sospendono per ascoltarli il penoso ufficio loro. Isione si riposa su la sua ruota. Stassi immobile il sasso dell’infelice Sisifo; Tantalo scorda la sua divorante sete. I neri spettri dell’Erebo ballano intorno ad Orfeo e le Parche frattanto lasciansi cader dalle mani e conocchia e fuso e forbice e sospendono l’Eumenidi le terribili esecuzioni loro. La feroce Proserpina mormorando si raddolcisce e il nume d’Averno sente per la prima volta commoversi il core. Orfeo gli chiede l’adorata Euridice ed a rendergliela lo scongiura. Plutone, cedendo non tanto alla di lui preghiera, quanto alla dolce forza ond’è espressa, acconsente alla sua ricchiesta colla barbara condizione però che non dovesse rivoltarsi mai per riguardare Euridice finché uscito affatto non fosse dal cupo regno dell’ombre.
 
 SCENA IV
 
    Vien condotta Euridice che dà a conoscere il di lei spavento per i tristi oggetti che la circondano. Scorge lo sposo ed a lui sen vola, ma egli non può che stenderle una tremante mano e volger lo sguardo altrove, temendo troppo di mancare alla impostagli dura condizione. Questa così straordinaria riserba, ch’Euridice scorge in ogni azione ed in ogni movimento d’Orfeo, la mette in grande inquietudine, attribuendone la cagione a troppo d’indiferenza in lui. Ella il scongiura a volgerle uno sguardo che l’assicuri; ma scorgendolo alfine ostinato a rifiutarglielo, ritira sdegnosamente la mano e dassi in preda al dispetto. Orfeo, che non tien più la sua Euridice per mano e che ignora s’ella il segua o no, è assalito dall’inquietudine, dalla tema e dall’impazienza maggiore. Vorrebbe pur rivoltarsi, ma la sentenza di Plutone il sgomenta. Chiama Euridice, stendendole ma indarno la destra. Alfine, mosso improvisamente dal timore di averla perduta, precipitosamente si rivolge per cercarla ed in un subito i demoni vigilanti all’esecuzione degli ordini di Plutone si lanciano sopra Euridice e tentano d’involarla ad Orfeo. Pugna valorosamente questa tenera sposa contra il furor loro e dalle loro braccia si disviticchia per gittarsi fra quelle del suo sposo e là sembra che sfidi sicura tutta la barbarie loro. Allora la truppa infernale si divide, indi, riunendo gli sforzi, separa e slontana i due sposi. Gettansi questi a’ piè de’ mostri crudeli, implorando pietà. Tratta Orfeo la sua lira e pare che il di lei suono comincia calmare i demoni e a disarmarli dal loro furore; e si diria che l’amore è vicino a trionfare una seconda volta e della morte e dell’Averno, ma ecco Tesifone. Questa inesorabile furia cogli orridi fischi de’ serpenti ond’è crinita, rianima la crudeltà della tartarea truppa. Orfeo ed Euridice tentano un ultimo sforzo per riunirsi ma i demoni troppo premurosi di eseguire l’ordine ricevuto li strascinano e li dividon per sempre, e questi due sfortunati non potend’altro, levano al di sopra degli orridi ceffi degli spettri che li trasportano, le languenti loro braccia e gemendo si danno l’ultimo eterno addio.
 
 SCENA V
 
    Amore sensibile al dolore ed alle strida di questi amanti, la costanza e la tenerezza de’ quali forma l’ornamento più bello dell’imperio suo, vola a traverso dell’aere perseguitando i demoni rapitori d’Euridice. Questo dio viene a domandarla a Plutone, od a sostraerla col suo potere all’impero de’ morti.
 
 SCENA VI
 
 Rappresenta la scena una parte del monte Rodope, al di cui piede vedesi serpeggiare il fiume Ebro.
 
    Orfeo, inconsolabile per la doppia perdita della sua consorte, cerca la solitudine per ivi intieramente abbandonarsi al suo dolore. Alcune ninfe qui attirate dalla dolcezza dell’armonia l’invitano ad abbandonare quest’orrido deserto e venire ad abitare in più ridenti luoghi. Orfeo sempre fedele alla sua Euridice riggetta e sprezza i consigli loro e insensibile del pari ai vezzi loro ed alle immagini del diletto ch’esse gli rappresentano, sdegnosamente le fugge. Le ninfe irritate lo lasciano esprimendo ad un tratto e la collera e la vergogna loro.
 
 SCENA VII
 
    A misura dei vari suoni della lira di Orfeo cangia la decorazione successivamente di forma e viene grado a grado ad abbellirsi. Sovra gli aridi scogli le verdeggianti piante vengono a disporsi. Signoreggiano i fiori ove non eran che sterpi. Le caverne si trasformano in pergoleti di mirti. Gli aranci nascono intorno ad Orfeo ed i rami loro avviticchiandosi insieme gli rendono dilettevole ombra. La costa del monte si copre di verdeggianti vigne che, ingrandendosi, si uniscono ed in ghirlande si dispongono. Gli augelletti ripetono le modulazioni di Orfeo. Gli animali più feroci s’addunano intorno a lui. Lasciano e vendemmiatori e bifolchi l’opera loro per darsi in preda de’ trasporti della lor contentezza e sembra alfine che la natura istessa per prestare omaggi al tracio cantore si sforzi di abbellire la di lui solitudine con le più dilettevoli e subite trasformazioni.
 
 SCENA VIII
 
    Ricompariscono le ninfe sdegnate precedendo le furiose baccanti. Sono queste armate di tirsi e molte fra esse hanno flauti e cembali. Invase dal loro furore cercano Orfeo per farlo della rabbia loro la vittima. Veggonlo appena che si lanciano sopra di lui e più insensibili delle bestie feroci non rispondono a’di lui accenti che raddoppiando sopra di lui i colpi de’ loro tirsi. Lo atterrano sopra alcuni dirupi e si mostrano determinate ad immolarlo alla loro ubbriachezza.
 
 SCENA ULTIMA
 
    Bacco giustamente irritato ed avendo un tal sagrificio in orrore, premuroso di conservare un mortale che fa il più bell’ornamento delle sue feste, comparisce e discende la montagna. Questo nume è assiso sopra di un carro tirato dalle tigri. Una truppa di satiri e di silvani il precede ed un’altra di giovanetti fauni lo siegue portanti gl’instrumenti al di lui culto sacrati. Le baccanti, spaventate dai minacciosi sguardi del nume, si ritirano indietro non osando di levar da terra gli sguardi loro. S’apre la terra, ne sorge un legger vapore che, poco a poco dissipandosi, lascia veder Amore con Euridice. Ecco Orfeo subitamente rianimato dalla presenza di questo dio. Apre i moribondi lumi, sorge da terra, ma qual ne è la sua maraviglia nel vedersi resa la dolce sposa per mano d’Amore! Invaso dalla più viva allegrezza rende al dio di Citera i dovuti omaggi e fra questi e Bacco divide le testimonianze della gratitudine sua. Si volge quindi ad Euridice e dassi tutto in preda ai dolci trasporti della sua tenerezza. I fauni, i satiri ed i silvani s’uniscono colle baccanti e intrecciano vive e dilettevoli danze. Amore e Bacco prendon parte a questa festa ch’è la comune opera loro. Orfeo ed Euridice che toccano il colmo della felicità, esprimono il contento e la loro gratitudine. Finisce il ballo con un gruppo generale di figure in cui vengono nel medesimo tempo rappresentati e i diletti d’Amore ed i piaceri di Bacco.